Teatro

Roma: teatro, poesia e narrazione con Fando e Lis

Roma: teatro, poesia e narrazione con Fando e Lis

Da giovedì 9 febbraio 2006 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 26), al Teatro dell’Orologio di Roma (Sala Artaud), Media Aetas Teatro presenta Fando e Lis di Fernando Arrabal, uno spettacolo di Mario Brancaccio, nella traduzione di Mario Moretti e la regia di Mimmo Cice. Interpreti, in scena, Mario Brancaccio, Mila Moretti, Danilo Rovani, Max Pece, Titta Troise. I costumi sono a cura di Francesca R. Scudiero, le scene di Antonio Rinaldi, le musiche di Bonaiuto Del Casentino.
Fernando Arrabal è una delle personalità più incisive del nostro tempo. Accanto a Beckett e a Ionesco, lo scrittore francese di origine spagnola è, infatti, considerato uno dei maggiori drammaturghi contemporanei, e le sue opere vantano traduzioni in vari paesi.
Nelle pièce teatrali il mondo di Arrabal è inscritto nell’orbita del teatro dell’assurdo. Un teatro folle, brutale, clamoroso, gioiosamente provocatore. Un potlatch drammaturgico in cui la carcassa delle nostre società “evolute” si carbonizza sulla rampa festiva di una permanente rivoluzione.
Erede della lucidità di Kafka e dello humour di Jarry, paragonabile, per la sua violenza, a Sade o Artaud, è, indubbiamente, il solo ad aver spinto così lontano l’arte della derisione. Profondamente politica e gioiosamente ludica, ribelle e bohémienne, la sua opera è la sindrome del nostro secolo fatto di reticolati e di gulag: un modo per stare sempre all’erta.
Fando e Lis, lei, con le gambe paralizzate, è la donna nella carrozzella da bambini, lui è l’uomo che la porta a Tar, una città (essa rappresenta la felicità) dove nessuno è mai arrivato. Ambedue sono figure della realtà dei nostri giorni, ma sono anche due ombre che si muovono in un sogno ricco di crudeltà e di fascinazione.
Il loro illusorio e labile obiettivo di raggiungere Tar è un cammino labirintico nel mondo senza tempo del sogno, dove tutto è confuso, dove anche i morti appaiono come persone vive, dove serpenti, cicale, aquile si mostrano con una selvaggia innocenza.
Fando incontra tre misteriosi personaggi con l’ombrello, Namur, Mitaro e Toso, e con loro si avvita in una sorta di spirale esistenziale piena di desideri frustrati e immagini ipnotiche. Lis, in disparte, è la vittima apparente e predestinata di questa realtà, l’esclusa che tutto guarda, lucidamente con quegli occhi capaci di contemplare i propri pensieri.
Il loro viaggio è breve: si tratta di girare in tondo e di trovarsi sempre allo stesso punto. Lis è trascinata dal sadismo di Fando che assicura di amarla, ma che, in uno dei tanti giri intorno a Tar, giunge a lasciarla morire.
“L’allestimento – come spiega Mario Brancaccio in una nota - si avvale di tecniche recitative capaci d’interagire con apparecchi multimediali, film e proiezioni di opere d’arte. Namur, Mitaro e Toso non sono personaggi palpabili né attori, ma figure mutevoli e oniriche di un breve incubo visivo e sonoro.”